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Mai come oggi, da molti secoli a questa parte, l’Occidente – suo malgrado – ha a che fare con il mondo islamico. L’Islam, infatti, non è più un semplice “vicino di casa”, ma vive nella nostra stessa abitazione: impressionanti sono, a questo riguardo, le percentuali di islamizzazione di innumerevoli città europee (anche capitali: una su tutte, Bruxelles).

Che piaccia o non piaccia, quindi, l’uomo occidentale – a qualsiasi livello – ha oggi quotidianamente a che fare con il mondo musulmano: per lavoro, per impegno politico, per contrapposizione religiosa, e così via.

A prescindere, per un momento, dall’impatto deleterio che una massiccia presenza islamica nel nostro tessuto sociale ha – ed avrà sempre più – sulla conservazione di una vera identità europea, viene da chiedersi: che cosa ha veramente da dirci, oggi, l’islamico medio, il nostro vicino di casa, l’imam di una comunità o il venditore ambulante con cui siamo diventati amici e che salutiamo quando andiamo al lavoro? Con che animo e con quali intenzioni si accosta a noi?

Il nostro vero problema, nel porci queste domande, è la buona dose di ingenuità che ci contraddistingue. Un’ingenuità che deriva, essenzialmente, dall’essere “anestetizzati” da centinaia di anni di perbenismo, di “dialogo a tutti i costi”, di sicurezza e di relativa tranquillità. Il tutto, accentuato da un congenito amore per i “diritti umani” e per le parole di uguaglianza, di pace e di fratellanza universale che ci viene massicciamente imposto, fin dalla nostra nascita, dalla fabbrica mediatica dell’opinione pubblica.

Ma se ci fermiamo un attimo, ci rendiamo conto che, forse, il nostro interlocutore non parla un linguaggio di amore. Anzi, ci accorgiamo che le sue intenzioni, seppure talvolta abilmente mascherate, sono tutt’altro che pacifiche e innocenti. In sostanza, nel nostro rapportarci con l’Islam facciamo la stessa impressione dell’adolescente timida e sognatrice che si accosta – piena di buone intenzioni e di cuoricini sul diario – al peggiore bullo della scuola.

“Ma come!”, diranno i nostri avversari innamorati del mondialismo; “i nostri fratelli islamici hanno pregato con noi nelle chiese; hanno scritto <Not in my name!> quando dei loro amici hanno massacrato un bel po’ di francesi. Vedete, complottisti? Loro non sono cattivi!”.

Così, i nostri amati avversari fanno esattamente la figura della timida adolescente che si innamora del bullo della scuola. Soltanto che, purtroppo, le conseguenze sono ben più serie.

Un atteggiamento così ingenuo può essere giustificato soltanto da una totale ignoranza della dottrina islamica. E infatti, secondo le principali correnti dell’Islam, sciita in primis, la dissimulazione delle reali intenzioni dei credenti nei rapporti con gli “infedeli” (cioè con noi…) non è soltanto ammesso, ma in talune circostanze diventa addirittura un obbligo.

Questo atteggiamento – ipocrita e doppiogiochista – ha un nome preciso: taqiyya (in arabo: تقية , traducibile come “paura”, “circospezione”‎, “dissimulazione”, “menzogna”, ma anche come “timore di Dio” e “santità”). Sotto questa definizione, in particolare, rientra un’ampia e significativa gamma di comportamenti, tutti considerati perfettamente leciti – e talvolta persino obbligatori – secondo la dottrina islamica: (a) celare o addirittura rinnegare esteriormente la fede islamica; (b) non praticare alcuni dei riti obbligatori previsti dalla religione islamica; (c) in generale, non destare sospetti, simulando apertura mentale ed accondiscendenza per sfuggire ad un ambiente ostile.

In questa maniera, il musulmano – qualsiasi musulmano – può serenamente rinnegare in tutto o in parte la propria fede dinanzi agli occidentali, smorzando tutti gli atteggiamenti che potrebbero risultare maggiormente contrastanti con l’ambiente che lo circonda, in modo da poter proseguire indisturbato la propria esistenza “dietro le linee nemiche”.

Ciò, anzi, consente al musulmano di assumere, volta per volta, il ruolo di apostolo del dialogo fra le religioni, quello di pacificatore, o anche – come avviene sempre più spesso – quello di “povera vittima indifesa” di fronte a pregiudizi e discriminazione. Il tutto, aggiungiamo, facendosi delle grandi risate vedendo che la propria recita riesce benissimo dinanzi agli occhi pieni di amore dell’uomo occidentale.

Il fenomeno non va sottovalutato, considerato – peraltro – che non si tratta di una tendenza isolata di alcune comunità islamiche, ma di un codice di comportamento tipizzato nello stesso Corano: “Che i fedeli non prendano per amici o protettori gli Infedeli al posto dei fedeli: se qualcuno lo facesse, in nulla vi sarà aiuto da Allah: eccetto come precauzione, così che possiate guardarvi da loro. Ma Allah vi avverte di ricordarlo; perché l’obiettivo finale è Allah.” (Corano 3:28, enfasi aggiunta).

Si tratta, quindi, di un atteggiamento opportunista e programmatico che – al di là delle apparenze esteriori – caratterizza ogni vero musulmano. Un atteggiamento che consiste, come visto, nel simulare pace, amicizia e tolleranza in attesa di diventare maggioranza e poter così sollevare la maschera, rivelando la propria vera natura.

Sta all’Occidente, dunque, decidere quanto peso dare alle belle parole di molti leader musulmani che operano sul proprio stesso territorio. Sta all’Occidente decidere quanto valore attribuire all’apparenza che cela la dissimulazione più spudorata.

Continuando a gioire in maniera infantile delle manifestazioni di pace, amore e tolleranza che l’Islam ci offre (quando non decidere di uccidere innocenti), non si farà molta strada. Si finirà come quella adolescente che, speranzosa, va nei bagni della scuola convinta che il bullo voglia dirle “ti amo”.

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J. du Lys

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